Il nostro Natale con i dolci romani

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Il nostro Natale con i dolci romani

Si avvicina Natale e l’atmosfera già da tempo è festaiola e luminosa anche se ormai, senza mio papà, il Natale per me è diventato un momento nostalgico. Era la figura centrale delle nostre feste, con lui decoravamo l’albero e costruivamo il presepe ma il mio ricordo più vivo sono i film che vedevamo insieme in quei giorni, i classici film delle feste, Willy Wonka e la fabbrica di cioccolato, il Piccolo Lord, Piccole Donne, A Christmas Carol per poi passare, con gli anni, a Charles Bronson nel suo “Giustiziere della notte”. Una serie di film polizieschi che mio papà adorava. Gli piaceva tanto che li vedessi insieme a lui convinto che Charles Bronson potesse insegnarmi qualche tecnica di difesa personale… anche se tentavo invano di spiegargli che vivere a Roma all’isola Tiberina non era proprio come vivere a NY negli anni ‘70. Comunque era divertente e quando si trattava di film avevamo un linguaggio e dei codici tutti nostri.

A parte i film e le decorazioni, naturalmente c’era la cucina. Lo osservavo per ore intento a preparare la cena della vigilia, il pranzo del giorno di Natale per noi, per i numerosi parenti e per gli amici, sempre con il suo buonumore e l’immancabile sorriso.

Ha lasciato a me questa eredità, che porto avanti per la gioia delle mie sorelle e del resto della famiglia che rimane sempre legata al nostro Natale romano e tradizionale.

E a proposito del nostro Natale, voglio parlare di due dolci tradizionali romani che purtroppo stanno perdendo terreno, e ormai da anni non compaiono più nemmeno sulle tavole dei veri romani. Il torrone e il pangiallo che io invece cerco di non far mancare mai.

Il torrone romano è un cilindretto bianco di zucchero e mandorle, durissimo e ricoperto di zucchero a granelli, ispirato ai simboli fallici rinvenuti in alcune rovine dell’Antica Roma. Esiste anche nelle versioni con pistacchi, pinoli e cioccolato. Io lo prendo sempre da Valzani, storica pasticceria romana a Trastevere. Così come il pangiallo, che solitamente preparava mio nonno e poi naturalmente mio padre. Il pangiallo romano è di una bontà commovente e purtroppo non si trova quasi più se non da Valzani appunto o al Forno di Campo de’ Fiori dove proprio ieri ne ho preso uno e l’ho mangiato tutto! Non potevo resistere…

Le sue origini risalgono addirittura alla Roma imperiale. Si preparava il giorno del solstizio d’inverno come buono auspicio per il ritorno delle lunghe giornate di sole.

Tra le tante ricette che ho letto in questi giorni, mi sono resa conto che più o meno tutte riportano la versione della mitica Ada Boni che lo definiva “semiprimitivo” e un “fossile della pasticceria romanesca”.

Ingredienti:

1kg o 1e½  kg di zibibbo (o uva sultanina)

350 gr di scorza d’arancia candita o cedro

200 gr di farina

200 gr di pinoli

200 gr di mandorle sbucciate e pelate

20 gr di lievito di pane

Spezie in polvere q.b. (chiodi di garofano, cannella e noce moscata)

4 cucchiai di olio extra vergine di oliva

Qualche cucchiaio di acqua tiepida

1 cucchiaio di zucchero

1 cucchiaio di farina

Procedimento:

Amalgamate la farina con il lievito di pane e un po’ di acqua tiepida fino ad ottenere un impasto molto soffice. Unite poi la scorza di arancia (o cedro) candita e tagliata a cubetti, la frutta secca, le spezie, l’olio e lo zibibbo finché la pasta non si satura di tutti gli ingredienti. Lavorate l’impasto per dargli la forma di una cupolina e infine mettete a riposare per una nottata in un luogo caldo e asciutto.

Per la copertura del pangiallo, preparate una pasta non troppo liquida con una cucchiaiata di farina, poco olio, un po’ delle spezie utilizzate nell’impasto e lo zucchero. Quando il dolce sarà lievitato, colategliela sopra e spalmatela aiutandovi con una spatola (un tempo, oltre alla pastella sul pangiallo si usava colare una soluzione di acqua e zafferano, da cui il suo nome). Mettete in forno già caldo (circa 190°) e lasciatelo cuocere finché la pastella non si scurisce.

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