La marmellata di arance amare di Speer e Henry e l’affascinante angolo di Inghilterra del quinto piano…

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La marmellata di arance amare di Speer e Henry e l’affascinante angolo di Inghilterra del quinto piano…

La pioggia incessante che in questi giorni sta stremando Roma a me non dispiace affatto. Mi riporta alla mente il musical “Singing in the rain” e mio padre, quando canticchiava il famoso motivetto.

Insieme vedevamo sempre i vecchi film e a lui devo il mio bagaglio di pellicole d’epoca, alcune quasi sconosciute o completamente dimenticate. 

La mia infanzia è stata sempre popolata di strani personaggi, abitando noi in una parte del centro di Roma all’epoca isola felice e poco frequentata se non dai veri romani che vi abitavano e che ormai sono quasi completamente spariti. Potrei scrivere un libro su quei personaggi e sulle stranezze del luogo e del palazzo (in cui si dice abbia vissuto anche Mastro Titta, il famoso boia di Roma). Ricordo episodi e persone con grande nostalgia e con il rammarico di non poter più rivivere quei momenti spensierati e gioiosi. Ho trascorso la mia infanzia circondata da una romanità ormai introvabile e irripetibile, un senso di appartenenza al luogo e alla casa di cui sento costantemente la mancanza e che ritrovo con gioia quando vado a trovare la mia “eccentrica” mamma e alcuni degli ormai pochi sopravvissuti personaggi della mia infanzia spensierata.

Mi ritengo fortunata ad aver conosciuto tutti quegli strani e divertenti esseri umani che probabilmente hanno contribuito a creare quello che Anto affettuosamente chiama il mio “mondo delle farfalle”. Non posso certo dire di aver avuto un’infanzia noiosa e solitaria!

Mia madre mi racconta aneddoti divertenti di quando ancora era viva mia nonna e nel palazzo circolavano dei veri matti… la squinternata che suonava alla porta perché doveva urgentemente telefonare alla “Regina di Spagna” e mia nonna stava al gioco… si inchinava e la accoglieva con un “prego Maestà, si accomodi…”, la turca che leggeva i fondi del caffè, la zitella che passava l’intera giornata affacciata alla finestra a monitorare quello che succedeva per strada, la portiera grassa e sorridente, sempre seduta, che mi apostrofava con un “ecco la bella pentellina” e ne potrei nominare un’infinità.

In questo panorama di autentica romanità, gli unici “stranieri” erano Speer e Henry, da tutti ribattezzati “Pietro (impossibile per un romano pronunciare Speer… ma che nome è?!?!?) e Eri (alla romana) oppure “gli inglesi”, che poi con gli anni e la maturità venni a scoprire che uno era scozzese e l’altro irlandese, nulla di inglese quindi eppure monarchici e adoranti della Regina Elisabetta…

Per noi erano gli inglesi e punto. Due giornalisti del Vaticano che prima degli anni ‘70 si erano trasferiti a Roma, nel mio palazzo. Loro hanno decisamente vivacizzato la mia infanzia e mi hanno insegnato tantissime cose, anche culinarie. Entrare a casa loro per me era come entrare nel mondo delle favole. Una casa piena di oggetti bellissimi, ceramiche, quadri, libri, teche con dentro le cose più strane (anche un ciuffo di capelli di Maria Stuarda…). La casa dei miei sogni, piena di luce, disordinata di fogli e libri, quasi tutto buttato a terra, ma elegantissima, impregnata di cultura e vivacità. Insieme a loro ho scoperto che dal nostro palazzo vedevamo tutti i colli di Roma, tranne il Celio e naturalmente il Campidoglio perché ci stavamo sopra : ), abbiamo ammirato le meraviglia della città nelle serate estive mangiando cocomero, mi hanno passato i libri più belli che abbia mai letto, incluse le loro storie nordiche di unicorni, fate e folletti, mi hanno mostrato gli oggetti più belli e rari che riportavano dai viaggi al seguito del Papa, mi hanno fatto capire e amare le ceramiche Wedgwood (motivo per cui ne ho comprate un’infinità, per la gioia di Anto…), mi hanno insegnato la cucina delle “colonie”, i chutney, il pollo al curry (come deve essere veramente cucinato) le marmellate, dalla classica Orange Marmalade all’immancabile Queen Victoria’s plum jam. Però… come tutti gli inglesi la sera alzavano il gomito e anche parecchio. Solitamente erano innocui, tutt’al più gridavano cose incomprensibili, barcollavano salendo le scale e qualche volta, se non facevano in tempo ad arrivare al pianerottolo, si addormentavano tra un piano e l’altro. Spesso dimenticavano le chiavi di casa e restavano fuori, e qui subentrava mio padre…

Aveva studiato per loro uno strano sistema di imbracatura da alpinista. Spesso di notte mio papà li recuperava, salivamo su nella terrazza condominiale, li imbracava e dal loro terrazzino li calava direttamente dentro casa. Manovre da folli! Finalmente dopo anni di “imbracature” e discese ardite, mio padre, stremato, si fece fare varie chiavi di scorta che mia madre ancora conserva perché tuttora le perdono e restano chiusi fuori. Quando mio papà è mancato, ci hanno scritto uno dei biglietti più belli su di lui, che conserviamo gelosamente. Lo ricordano come un vero amico e un gentiluomo, come in effetti mio padre era.

Ma io conservo gelosamente anche le ricette che mi hanno passato “Pietro e Eri”, scritte in inglese, stropicciate, macchiate e quasi illeggibili, tant’è che quella della marmellata di arance amare è diventata indecifrabile. Ma una più o meno simile, forse in versione più rapida, l’ho ritrovata in un ricettario in inglese e la riporto qui per chi volesse cimentarsi.

Ingredienti (per due barattoli): 500 gr di arance amare, 130 gr di limoni, 1 lt di acqua e 700 gr di zucchero.

Procedimento: lavare le arance e i limoni, tagliarle a metà, eliminare la parte centrale, tagliare poi a fettine sottili eliminando i semi. Mettere le fettine in una pentola con l’acqua e lasciare in frigo per 12 ore. Mettere poi la pentola sul fuoco portando ad ebollizione, a fuoco moderato. Aggiungere lo zucchero di nuovo portando ad ebollizione ma stavolta a fuoco vivace e cuocere la marmellata finché risulterà solida alla prova del piattino. Versare la marmellata nei vasetti puliti e sterilizzati, chiudere ermeticamente e capovolgerli per farli raffreddare.

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  1. Che bello Fra… mi commuovi sempre quando racconti la nostra infanzia, soprattutto quando queste storie sono realtà pura, proprio l’altro giorno andando da mamma ho incontrato Pietro (Speer) sempre carino e gentile ancora oggi, anche se ormai cammina appoggiandosi ad un bastone…

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