La vera, autentica cacio e pepe

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La vera, autentica cacio e pepe

E’ arrivato il  momento di dedicare un post di questo mio personale diario culinario ad uno dei piatti romani per eccellenza: la cacio e pepe.

E’ da anni ormai che la mia romanità si indigna nel vedere come viene maltrattato e fuorviato questo piatto semplice eppure così delicato nei suoi equilibri. Per questo ho deciso finalmente di scrivere come si prepara una vera cacio e pepe! Indicherò cosa è giusto fare e cosa bisogna assolutamente evitare, partendo dalla fine, ma da quello che per me è l’elemento più raccapricciante… una stilettata al cuore: la “cremina”, che tutti pensano sia il clou della cacio e pepe, quella che invece io definisco “orrida melma” e che non deve assolutamente verificarsi!

Nei libri di cucina di ultima generazione scritti anche da non romane che si dichiarano romane (altro elemento di indignazione… Non sei romana perchè sei nata a Roma, sei romana perchè anche i tuoi avi, e quindi il tuo palato, lo sono…) o da improvvisate cuoche televisive, i primi piatti che vado sempre a controllare per verificare che il libro sia attendibile sono: cacio e pepe e matriciana (come la chiamo io), alla ricerca del fatidico termine “meravigliosa cremina” o “stupenda o deliziosa cremina” oppure, nel caso della matriciana “cipolla” o peggio ancora “aglio”!

Intanto una buona cacio e pepe prevede soltanto l’utilizzo degli spaghetti e non dei tonnarelli (nient’altro che una pratica moda attuale per abbreviare i tempi di cottura). I tonnarelli non sono adatti, è una pasta spugnosa e assorbente. Purtroppo quasi tutti i ristoranti ormai propongono “tonnarelli cacio e pepe”. Vade retro. Ci vuole lo spaghetto.

Nell’acqua di cottura degli spaghetti la tradizione vuole che si aggiunga un po’ di olio perché l’olio li rende scivolosi, permette loro di rimanere integri e separati durante la fase di condimento per evitare che si ammassino (nonna Elena docet).

In una ciotola a parte si prepara il pecorino grattugiato e il pepe nero. Quando gli spaghetti sono abbastanza al dente si scolano lasciando un po’ di acqua di cottura che permetterà al pecorino di sciogliersi un po’ (ma senza formare l’orrida melma). Il pecorino deve diventare quasi grigio per via del pepe ma non deve fondere né essere mantecato! Il massimo sarebbe avere un pecorino stagionato per più di 6 mesi (perfetto per essere grattugiato).

Per i cenni storici, riunita a consulto con i cugini dall’animo gladiatore (per i quali vale il detto: amico mio, quando mi chiedi se sto bene oppure no, non ti preoccupare per me, ho Roma nel sangue, gladiatori compresi) sono stata informata che la cacio e pepe sarebbe una derivazione della pasta (lunga) in brodo che per i non amanti del brodo veniva tirata su e condita con il pecorino e il pepe e il fatto che fosse bagnata creava una nobile versione dell’odierna “orrida melma”.

Ringrazio il  mio mentore e gran gourmet G.M. per avermi dato il coraggio di ribellarmi all’ “orrida melma” tramite questo post.

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  1. Carissima Francesca, BRAVA.
    Da romana quasi doc (nel senso che posso vantare solo una generazione e non 7)condivido pienamente il tuo sconcerto per “l’orrida melma” che si ritrova quasi ovunque per la pasta cacio e pepe, anzi gli spaghetti!

    Invece, per quanto riguarda i francesi “macarons” non sono molto d’accordo. Si, quelli di La Durée sono imbattibili ma ci sono dolcetti da thè migliori, specialmente in Italia!
    Ti abbraccio,
    a presto
    Livia

    • Ciao Livia! ho notato che i macarons hanno creato scompiglio… non su questo blog ma ho ricevuto commenti contrastanti a voce. io non li paragonerei ad altri dolci. I macarons sono “i macarons” e basta! sono d’accordo con te che dolci da thé ce ne sono tanti e vari ma sul “migliori” ho dei dubbi… metterò presto la ricetta sul blog sperando almeno di riuscire a far capire quanto la loro lavorazione sia complessa e delicata, un elemento già sufficiente a renderli unici.
      un abbraccio. FR

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